Automatismi.

Che ci vuoi fare. É abitudine.

Io, per esempio, non riesco a mettere i pantaloni prima dei calzini. E devo per forza mettere per primo il calzino destro, davvero. C’ho provato. Una mattina mi sono fiondato in bagno e per prima cosa ho messo i pantaloni. Niente da fare: quando é suonata la quarta sveglia – sono abituato a metterne almeno quattro, a distanza di dieci minuti – mi sono accorto di aver guardato un punto a caso tra lo specchio ed il lavandino per almeno dieci minuti. Per riavermi, ho dovuto spogliarmi di nuovo e mettere i calzini (il destro, prima). Solitamente, dopo essermi vestito, quasi automaticamente ho lo stimolo, e giocoforza devo togliermi di nuovo tutto (se non la faccio nudo posso stare lì per una giornata intera, non succede proprio niente).

Esco, dò due mandate alla porta e provo – due volte – se la maniglia é bloccata. Non si può mai sapere, pensi di aver dato due mandate e poi ne é una sola, viene il ladro e la porta te la apre col dito. Non sono i primi che pensando di aver chiuso la porta poi si sono trovati i ladri in casa.

Entro in macchina, e prima di mettere in moto dò due colpetti col palmo al pomo del cambio, per essere sicuro sia in folle. É un’abitudine che ho preso guidando il camion, un vecchio OM che aveva le marce così leggere che non ti accorgevi se erano inserite. Poi comunque accendo premendo la frizione, non puoi mai sapere se poi ti sbagli e finisci di culo nel muro dietro. Ah, già: io parcheggio sempre col muso in avanti, non si sa mai, devi correre per un’emergenza, una cosa, l’altra, magari qualcuno parcheggia male e poi devi fare venti manovre.

Dieci minuti dopo sono al bar, e prendo il primo caffè della giornata, il cornetto – cioccolato, sennò che cornetto é – e leggo il giornale. Soffio sempre via lo zucchero a velo dal cornetto; mi piace eh, altrimenti glielo dicevo prima, ma é sempre un pò troppo e disgusta. L’ho provato, il cornetto senza lo zucchero sopra, e non lo so, sembra un’altra cosa. Io devo mangiare un cornetto fatto come Dio comanda, altrimenti non ingrano. Fuori dal bar accendo la prima di molte sigarette della giornata. A questo punto sono più o meno le cinque e mezza, mi rimetto in auto e vado al lavoro.

Arrivo, e di solito nel momento in cui apro la porta dell’ufficio parte il primo cristone, perché il collega della sera dimentica sempre di dare due mandate alla porta. Certo, in un posto con una scrivania, una sedia e pochissimo altro che paura puoi avere dei ladri, e avete anche ragione. Ma a volte quelli, i ladri, le cose te le fanno anche per niente, così, a sfregio.

Comunque, mi siedo, accendo il pc, guardo le consegne della sera prima. Se sulla faccenda della porta il mio collega é sbadato, sul libro delle consegne é quasi un artista. Ha una calligrafia tutti cerchietti e puntini, quasi come mia figlia, la grande (giurerei di aver visto anche qualche cuoricino sulle i, ma potrei essermi sbagliato); scrive bello grande e regolare su tutto il rigo, neanche avesse le squadrette, e se socchiudi gli occhi e metti a confronto due pagine sembrano fotocopiate. Io no, già non ci vedo benissimo e poi sono cosciente di zappare sul foglio. É colpa delle monache. Io, quand’ero piccolo, sembravo voler diventare mancino, ma all’epoca non era ben visto e le monache (ho fatto asilo ed elementari, dalle monache) hanno tentato di tutto, anche legarmi il braccio. Ho alla fine imparato a scrivere con la destra ma, forse per ripicca, ho imparato la peggiore scrittura possibile. La mia fortuna è che sul libro delle consegne puoi anche evitare di scrivere papielli, come il mio collega. Anzi, scrivere bello stringato, “ora tot, questo quello e quell’altro” e fine, sembra più tecnico, e se devi correggere si nota meno. Mah, comunque iniziamo la giornata.

Arriva la signora delle pulizie e metto su il caffè. Ne ho bevuto uno neanche un’ora fa, ma che c’entra. A parte che é buona educazione, pare brutto che io lavoro e la signora sta lì in piedi a prendere il caffè, le faccio compagnia; poi ci si mette anche lei che vuole la compagnia, e va bene, perdiamola una mezz’oretta in chiacchiere. La signora é vedova, c’ha i figli grandi, però si mantiene la fine del mondo, e vuoi mettere in mezzo a queste carte vecchie un pò di bellezza? …beh? Che dici? Ma non pensarci nemmeno! Si, certo, se non ero sposato il pensierino ce lo facevo, ma poi che fai? Lasci la tranquillità, la famiglia, la casa che ancora stai pagando, per cosa? E poi come giri in paese, che a tua moglie la conoscono tutti?

Arriva il primo, tranquillo. Telefono, ok. Vai pure.

Ieri era un pò nuvoloso, e almeno si respirava. Stamattina per l’umidità c’era anche la nebbia, di sicuro pure oggi si annaspa. L’altro giorno sono andato al supermercato ed ho comprato due casse di tè al limone, le ho messe in frigo e… É rimasto qualcosa? Meglio. A proposito, ho pagato io, fammi prendere i soldi dal barattolo. É che ogni giorno io e il collega abbiamo l’abitudine di vuotare le tasche dagli spiccioli in un barattolo, che teniamo per queste cose, che ne so, l’acqua, il caffè, l’altra volta i gommini della fontana in bagno…

Non ci crederai, ma so che si sono fatte le otto perché… natura chiama. Vado un attimo, no aspetta, non posso lasciare il posto da solo. La signora? Signora, gentilmente, potete voi…? Grazie, due minuti e torno! C’è ancora del caffè se volete…

Due minuti… Sempre la stessa storia. Se devo fare in due minuti mi devo spogliare, e poi comunque non sono due minuti, mannaggiatutto. Vabbé, chi ben comincia…

Bussano. Una volta. Due volte. Meno male che avevo finito. Esco fuori e chi ti trovo? Quello nuovo. Pare che sa tutto lui, il genio… Ma lo sai da quanto tempo faccio questo mestiere? Sono le otto e un quarto, devi aspettare l’altro, lo sai o no? Suona il telefono. Sta arrivando. Meno male, questo qui sembra abbia il ghiaccio in tasca. Si, é quello nuovo.

Arriva l’altro. Vai, vai! Corri, che perdi il treno, ah ah ah!

Le nove. Ovviamente, già non si respira. E quando passa la giornata… Diamo un’annaffiata alle piante.

Arriva un’altro, squilla il telefono. Tra dieci minuti? Che c’è oggi, danno il pane con la tessera? Si si, tanto qua sto. Cosa? Chi é che si sposa? E gli vado a mettere il mipiace subito subito!

Qua sul pc aziendale non si potrebbe, ma mio figlio piccolo mi ha spiegato come si fa a fare nascosto e quindi. Toh, guardalo! Addirittura con l’uniforme e il cappello! Un altro che si aspetta il regalino per le nozze… Vabbé, però sta bene. C’ha un pò di pancetta, però si porta bene, dai. Chi è il testimone? Ah, bello lui… Spero che stavolta ha marcato ferie e non malattia, l’altra volta successe un casino… Ma vuoi ricordarti che qua stanno su facebook tutti quanti? 

Telefono. Due? Va bene, quale prima? Si si, manda pure.

Arriva, se ne va. Ne arriva un altro, fermo lì, sono le dieci e venti… Infatti non mi sbagliavo. Preciso come un orologio svizzero, é tornato quello nuovo. Sarà un cacacazzo, ma é preciso. Telefono. Vai, vai pure.

Si presenta la zingarella. No no, non c’ho niente. Hai fame? Devi dire a marito tuo che andare lavorare, no rubare! Ma vafancul’, prima tu e poi lui! Meno male che devo stare qua fermo, sennò sai gli schiaffi che gli davo, a ‘sta stronza?

Telefono in ufficio. Le ferie? E perché me le spostate? Eh, ma io avevo prenotato! Si, certo, tutti gli anni così, ma poi chi ha a che fare coi drogati e gli zingari a tutte le ore lo piglia sempre a servizio! Ecco, bravo. Chiamami appena sai qualcosa. In realtà io neanche ci vado in vacanza, fatto una volta vent’anni fa e mai più: troppi stress, l’aereo, sbattuto qua e là… Una giornata di mare – non al sabato perché c’è folla – e sono contento.

Arriva un altro. Undici e dieci. Vai, vai pure. Tanto l’altro ti aspetta di là.

Due minuti, squilla il telefono. Aspetta… ho telefonato o no?

Non è andata così a Corato, o almeno ancora non è chiaro se sia andata così. Posso immaginarlo, congetturare in proposito, scaricare la colpa addosso a questo o quell’individuo per far quadrare un certo scenario piuttosto che un altro. Ma sono e restano congetture, non fatti. Ci sono degli organi preposti alle indagini che sono al lavoro per ricostruire quella manciata di minuti, in cui uno dei due treni era dove non doveva essere. Spetta a loro accertare le responsabilità, non ai fantasiosi guitti della cosiddetta informazione, non a vari ed eventuali creatori di frasi da foto con scritte, non alla pseudopolitica da stadio.

E soprattutto non a me.

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